LE PERSONE NON SOPPORTANO PIù DI LAVORARE NEL MODO IN CUI LO STANNO FACENDO ORA (MA TUTTO CAMBIERà)

Ventiduemila è il numero di abitanti di parecchi comuni italiani. Fra questi c'è Ivrea, la città della Olivetti, c'è il suggestivo sito archeologico di Capaccio Paestum in Campania, ci sono Frascati ai Castelli Romani, Sulmona la città dei confetti, Fucecchio dove è nato Indro Montabelli, e Ortona dove è nato Rocco Siffredi. Chi è stato in almeno una di queste è in grado di soppesare a occhio l'ammontare di ventiduemila persone. Dopo questo esercizio, immaginate che questo sia anche il numero di persone che ogni anno, in Italia, inizia a soffrire di una malattia professionale legata a disturbi psichici e comportamentali. Burnaout, esaurimento nervoso, stress, frustrazione, chiamatele come vi pare: l’Inail ha reso noto che nel primo trimestre 2024 le persone che non sopportano più di lavorare nel modo in cui lo stanno facendo ora sono aumentate del +17,9% rispetto allo stesso periodo del 2023. Non c'è esortazione "pensa a chi sta peggio di te" che regga, per queste persone che vivono in una sorta di girone infernale dal quale non possono uscire, soprattutto in un paese come l'Italia in cui il lavoro è stagnante, se perdi il tuo è impegnativo trovarne subito un altro. Così, per non rischiare, in molti si autocondannano a fare per lungo tempo o tutta la vita qualcosa che non gli piace, oppure a fianco di persone che non gli piacciono per niente, o schiacciati dal peso di superiori indesiderabili, per almeno otto ore al giorno. Il malessere psicologico nell'ambiente lavorativo si manifesta in diverse forme e in tutti i settori, portando con sé conseguenze sull'intera società, perché si produce di più e meglio quando si è felici, non c'è dubbio. Un trend in peggioramento che ha portato a un aumento delle richieste di assistenza psicologica, come conferma anche un'indagine commissionata da Speexx, un'azienda che si occupa di formazione linguistica e business coaching, insieme a Stimulus, specializzata proprio nella salute mentale al lavoro. L'indagine ha delineato l'età della fascia di popolazione aziendale che più fa richiesta di servizi di supporto psicologico: tra i 40 e i 49 anni, seguita dai 30-39enni, e poi a scendere. Su cosa viene chiesto maggiormenta aiuto? Al primo posto ci sono (come era facile immaginare) le problematiche relazionali con i colleghi e i superiori. Chi si ritrova a lavorare con colleghi e capi che adora, non sa quanto sia baciato dalla fortuna. Poi c'è il peso del carico mentale che può dipendere dalle troppe scadenze pressanti, dalla mancanza del supporto manageriale, dalla tendenza dall'alto a penalizzare troppo severamente un errore, e dalla paura di non essere all'altezza dei propri incarichi. "Forse, lo stigma dei problemi psicologici sta pian piano crollando, si persegue sempre meno la carriera fatta di tappe precostituite e sempre più il trovarsi bene in quello che si fa e insieme agli altri", dice Oliver Albrecht, il vice president di Speexx, "Concetti come cultura del benessere, dialogo costante, attenzione all’ascolto e sicurezza psicologica devono portare a una riflessione capace di spingere le organizzazioni a tramutare le parole in azioni concrete. Solo in questo modo salute mentale e lavoro possono diventare nutrimento l’uno dell’altro”. Speexx ha anche tracciato una terna di rimedi/consigli per le aziende affinché i lavoratori non si trovino ad affrontare questi stati d'animo che non giovano alla struttura, ma che richiedono anche una massiccia dose di buona volontà dai vertici. Dando per scontato che un lavoro deve rispettare il contratto nazionale che lo regola, e garantire la giusta retribuzione versata regolarmente, bisogna prima di tutto considerare dei momenti di idea management, ossia incontri periodici durante i quali tutti possono condividere le proprie idee e opinioni rispetto a specifici progetti. È un modo per aumentare il coinvolgimento dei dipendenti, che così sentono di dare un contributo attivo alla crescita dell’azienda. Allo stesso modo, incoraggiare le valutazione delle proprie performance, far sì che i lavoratori possono avere un ruolo attivo nel proprio percorso professionale, fissando personalmente i propri obiettivi annuali discussi con il manager. Fatto ciò, si deve garantire un energy corner, ovvero, l'angolo per una pausa ben fatta che promuova la socialità. Finiti i tempi del divide et impera che è stato applicato spesso in passato da manager senza scrupoli (e anche poco lungimiranti). Gli spazi fisici idelai per il benessere dei dipendenti devono somigliare un po' alle business lounge degli aeroporti, con divanetti per chiacchierare nelle pause, magari anche lo scaffale del bookcrossing. Consumare in fretta il caffè impalati davanti alla macchinetta non è un momento di stacco. punto. Le pause non solo sono vitali per riacquisire il controllo della propria giornata, l’attenzione e il benessere, ma permettono anche di stimolare la creatività e trovare nuove idee. Infine, il duty of care. Ossia, offrire programmi di assistenza ai dipendenti che consentano anche di accedere a un supporto psicologico, sociale e legale quando gli è necessario, attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con garanzia di totale anonimato, confidenzialità e grande facilità di accesso. Un sogno? In realtà la maggior parte di questo programma è più facile da realizzare di quanto sembri, e porta un ritorno in produttività. "Benessere è una di quelle parole senza plurale, perché si riferisce a un concetto talmente ampio e indivisibile da non richiedere una distinzione tra molteplici benesseri”, conclude Giulia Mendoliera, head of digital and content di Speexx. "Non si tratta semplicemente di comfort, ma di una dinamica vitale che alimenta la creatività delle persone e, di conseguenza, l’innovazione delle aziende. Quando in azienda il benessere è percepito come una priorità condivisa si trasforma in spinta evolutiva collettiva, portando enormi benefici alla crescita dell’intera organizzazione, nessuno lo può negare".

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