PERCHé L'ARTE FA BENE ALLA SALUTE

E se la cura fosse tra le pagine di un libro? Nelle sale di un museo? In un film, una pièce, un concerto? C’è un nesso forte tra la nostra salute, fisica e mentale, e l’arte. L’arte intesa in senso ampio, nelle sue più varie espressioni che non solo favoriscono il benessere, ma vengono indicate come strumenti di riabilitazione e nei percorsi di cura complementari a quelli medici. Il dato scientifico è assodato: un’ampia ricerca sui risultati di tremila studi condotti negli ultimi venti anni realizzata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) "riconosce il ruolo delle arti nel miglioramento della salute e del benessere" e invita le politiche sanitarie a garantire disponibilità e accessibilità "di un’offerta artistica culturalmente varia a gruppi diversi, specialmente a quelli appartenenti a minoranze svantaggiate", e "a incoraggiare le organizzazioni artistiche e culturali a rendere la salute e il benessere parte integrante e strategica del proprio lavoro". La ricerca sottolinea che il coinvolgimento estetico, lo stimolo cognitivo e dell’immaginazione, l’evocazione di emozioni e l’attivazione sensoriale indotti dal contatto con le espressioni artistiche agiscono non solo a livello psicologico, favorendo maggiore autoefficacia, adattamento e regolazione emotiva, ma anche fisiologico, grazie a minore risposta ormonale da stress, aumento delle capacità immunitarie e della reattività cardiovascolare.

Del potere curativo dell’arte si occupa da diversi anni Gabriella Bottini, docente di psicologia fisiologica e neuropsicologia all’Università di Pavia dove è da poco iniziato un master di II livello per formare artisti, psicologi, operatori di residenze sanitarie assistenziali (Rsa) ad utilizzare diverse forme artistiche nei contesti di cura. "La frequentazione dell’arte, in generale, ha un effetto preventivo e di arricchimento per le persone sane, e per questo andrebbe facilitata l’accessibilità ad ogni espressione artistica", spiega Bottini. "A maggior ragione dobbiamo porci l’obiettivo di garantire l’accesso all’arte alle persone fragili, piccole o grandi, che hanno gran parte del loro tempo di vita impegnato in percorsi di cura oltre che, naturalmente, ai loro familiari e a chi si occupa di loro come badanti. In Italia questa sensibilità è ancora allo stato embrionale. Se vogliamo umanizzare le terapie dobbiamo prevedere un tempo di cura che non esclude gli aspetti cognitivi ed emotivi".

Le esperienze di arte-terapia sono le più varie: dall’ascolto della musica all’osservazione di opere d’arte, da MediCinema (vedi sotto) ad un progetto originale come Ri-trascrizioni dell'artista Antonello Fresu, sperimentato in un centro per pazienti psichiatrici cronici di Cagliari che sono stati invitati a scegliere un libro e a trascriverlo insieme a mano, per settimane, con effetti curativi notevoli, secondo l’equipe medica che li ha seguiti. "Possiamo anche chiamarli esperimenti", precisa Bottini. "In ciascun caso, vengono fatti dei test emozionali e cognitivi, all’inizio e alla fine, e se osserviamo un miglioramento, allora sì, avremo fatto un ciclo di riabilitazione". Gli sviluppi delle neuroscienze rendono possibile identificare quali aree del cervello si attivano grazie alle emozioni suscitate dall'esposizione a una qualsivoglia espressione artistica. A seconda del maggiore o minore afflusso sanguigno se ne misura l’intensità.

"Una situazione depressiva non si può certo risolvere, ma un briciolo di miglioramento lo possiamo osservare", conferma lo psicologo e psicoterapista Giovanni Castaldi che insegna Arteterapia all’Accademia delle belle arti di Torino. "Per questo tipo di sollecitazioni l’arte contemporanea, astratta e concettuale, funziona meglio di quella figurativa classica, perché comporta una fruizione più complessa, stimola più domande sul significato e produce maggiori associazioni mentali. È fuori di dubbio che la dimensione culturale abbia una funzione di cura sul disagio psichico. E quando dico culturale mi riferisco alla consapevolezza di sé come persona, indipendentemente dalla formazione o dal titolo di studio". La potenzialità espressiva universale delle arti risulta preziosa là dove le parole si rivelano insufficienti. Ci sono terapisti che invitano i pazienti a disegnare per entrare più facilmente in relazione con loro, per costruire fiducia "perché non sempre le parole sono l’elemento centrale del setting", spiega Castaldi che usa questo metodo in particolare con i bambini oppure con gli adulti nei casi di psicosi gravi, traumi e depressioni. "Attraverso il disegno, ma può funzionare anche con la fotografia, in modo anche non consapevole, può emergere un disagio, un trauma, una relazione disfunzionale. La dimensione grafica può essere un mezzo privilegiato per raccontare e raccontarsi. L’arteterapia è psicoterapia a tutti gli effetti, ed è un percorso molto specifico che va adattato e personalizzato ogni volta, a misura del paziente, valutando caso per caso".

"Ogni malattia ha anche una base psicologica che deve e può essere curata: la cineterapia agisce proprio su questa capacità complementare di cura". Il dottor Luigi Godi è il manager di MediCinema Italia (www.medicinema-italia.org), associazione che utilizza la visione di film sul grande schermo a scopo riabilitativo, misurandone i benefici. Andare al cinema non è come guardare casualmente quello che passa in tv. "Partecipare alla proiezione di un film, scelto da uno specialista in base alla malattia di cui si è affetti ed allo scopo da ottenere, è un atto riabilitativo che vuole migliorare l’approccio comportamentale del paziente, del caregiver o dei genitori nel caso di bambini ricoverati, verso la propria malattia", spiega il dottor Godi. "La visione di film sviluppa, attraverso un meccanismo emozionale e psicologico, un processo di benessere e normalizzazione della propria condizione. Gli studi effettuati affermano che la cineterapia non solo migliora la qualità della vita del malato, ma può avere un ruolo rilevante sui tempi di guarigione". MediCinema ha realizzato due sale proiezioni in due grandi ospedali, Niguarda a Milano e Policlinico Gemelli a Roma, per creare uno spazio dedicato dove i pazienti – anche in carrozzina o allettati – possono identificare la visione di un film come tempo trascorso al di fuori dell’ospedale, liberando la mente dai pensieri e dalla condizione di paziente ricoverato. Per misurare l’efficacia vengono utilizzati specifici protocolli e questionari: ogni proiezione è introdotta da uno psicologo clinico che chiede di compilare un questionario prima e dopo la proiezione. A giovarsene maggiormente, secondo i dati di MediCinema, sono risultati i bambini, gli anziani, i ricoverati in neuropsichiatria e le donne affette da tumori ginecologici.

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