"VOLEVO PROTEGGERE GLI OCCHI DI MIA FIGLIA"

Non tutti i genitori sanno a che età andrebbero fatte le visite oculistiche pediatriche. Il primo controllo agli occhi avviene alla nascita in ospedale. Dopo questo controllo molte mamme e molti papà ritengono che non ne siano necessari altri a meno che il bambino non mostri qualche palese disagio visivo. Il bambino in questione però potrebbe avere un disagio visivo e non darlo a vedere oppure avere una problematica latente. Per questo motivo ai pediatri viene consigliato di prescrivere una visita oculistica attorno a un anno e un'altra attorno ai tre anni. Purtroppo queste indicazioni non rispecchiano la realtà, da una parte perché c'è una carenza di oculisti dediti all’oftalmologia pediatrica e dall'altra perché è purtroppo diffusa un’erronea convinzione, non solo di genitori, ma talvolta anche dei pediatri, che non si possa visitare un bambino che non sappia leggere. Ma non è così. E la storia di Elisa lo insegna. Abbiamo incontrato Enrica Ferrazzi, mamma di Elisa, una ragazza a cui da bambina è stata diagnosticata per caso un'ambliopia, e fondatrice di Progetto Elisa, un’associazione che si occupa di prevenzione visiva e divulgazione, per raccontare quello che è accaduto a Elisa e a sua mamma e fare in modo che non capiti ad altri.

Come ha scoperto che sua figlia aveva un disagio visivo e com'è evoluto poi questo disagio?

L’ho scoperto per puro caso. Quando mia figlia Elisa doveva iniziare la scuola primaria, essendo io miope, ho pensato di portarla con me a fare la sua prima visita oculistica. Ero certa che non ci fossero problemi, perché la bambina non mi aveva mai dato segnali che potessero fare sospettare un problema di vista. Diciamo più uno scrupolo che una preoccupazione. E invece è arrivata la tegola in testa. La bambina aveva seri problemi di vista da un occhio. Problemi che, se fossero stati diagnosticati precocemente, avrebbero potuto essere risolti semplicemente con l’uso di occhiali: ambliopia la diagnosi, una parola che non avevo mai sentito prima. Una parola che per me voleva dire condanna: per il pediatra che non mi aveva informata prima dell’importanza di un controllo oculistico precoce nei bambini; per me, che mi ero sempre considerata una mamma attenta e premurosa, dedita al benessere della figlia. All’inizio mi sono colpevolizzata: “Come avevo potuto non capire?”. Solo con il tempo, parlando con tanti oculisti, ho compreso che un genitore difficilmente può sospettare che il proprio figlio abbia un problema visivo. Non possiamo neppure aspettarci che siano i nostri bambini a segnalarci le loro difficoltà di visione: specie nella prima infanzia, infatti, non sono in grado di comunicare correttamente questo loro disagio, che viene frainteso o peggio, passa inosservato. Lo stesso vale per i bimbi più grandi perché non hanno alcun elemento di paragone. Hanno sempre visto così, non sanno cosa voglia dire “vedere bene”.

Quando ha deciso di fare sensibilizzazione sul tema problemi visivi infantili?

Dopo avere scoperto il problema visivo di mia figlia, ho consultato vari oculisti, fino a che ho trovato un medico, il dottor Roberto Magni, che ha saputo tranquillizzare me e accompagnare la bambina in un percorso di recupero che le ha consentito di migliorare leggermente la visione dall’occhio “pigro”. Così, dopo alcuni mesi di grande paura e confusione, ho pensato di trasformare la mia rabbia iniziale in qualcosa di positivo, che potesse essere utile per altri genitori. È nata così l’associazione Progetto Elisa, di cui il dottor Magni è diventato presidente, che si occupa di prevenzione visiva e divulgazione, perché quello che è accaduto a me e a Elisa non capiti ad altri. Poi il Covid ha sospeso tutti i nostri screening. Così, in quei mesi di chiusura totale, ho pensato di potenziare l’azione divulgativa, aprendo il profilo Instagram @occhideibimbi, che evoca immediatamente la nostra mission. Poi, un anno fa, abbiamo aperto una seconda pagina Instagram @ibendagnez, gestita proprio da mia figlia Elisa Raimondi e dedicata a tutti i bambini che, come lei da piccola, devono mettere una bendina sull’occhio per potere favorire lo sviluppo delle vie visive.

Quali sono i problemi visivi più comuni tra i bambini?

Parlando di problemi visivi, sicuramente il primo pensiero di tutti va ai vizi refrattivi, e quindi miopia, astigmatismo e ipermetropia. Ma in tanti anni di attività, quasi 20, a contatto con oculisti, ortottisti e optometristi ho scoperto che le problematiche visive che possono interessare un bambino sono tantissime. Per esempio, se dico la parola “cataratta”, a tutti viene subito in mente una persona anziana. Ebbene, la cataratta ha una forma congenita che interessa i neonati, portando già nelle prime settimane di vita a dovere rimuovere il cristallino. Così i genitori di questi neonati si ritrovano a dovere imparare a mettere e togliere tutti i giorni ai loro piccini una lente a contatto: capite cosa voglia dire per loro? E poi strabismo, ptosi, coloboma, retinoblastoma, daltonismo, un bambino maschio su 30 è daltonico. Un elenco infinito insomma. Spesso quando arriva la diagnosi i genitori brancolano nel buio, iniziano a cercare in rete informazioni, non sempre verificate. Per questo con Maria Antonietta Stocchino, una delle oculiste che collabora al nostro progetto, abbiamo pensato fosse utile scrivere un manuale teorico e pratico che potesse aiutare i genitori a prendersi cura della salute visiva dei loro bambini sin dalla nascita. È nato così Gli occhi dei bambini. Guida alla salute visiva dei nostri figli, edizioni Sonda.

Quali sono le cause? L'utilizzo di digital device può essere una causa o una concausa dei disagi visivi?

Impossibile dare una risposta generica sulle cause delle tante problematiche visive. Prendiamone una per esempio: la miopia, un difetto refrattivo molto diffuso non solo nei bambini. Oggi si stima che il 30-35% dei ragazzi di età inferiore ai 14 anni sia miope, in pratica uno su tre. Un’accelerazione che si è determinata soprattutto negli ultimi due anni, in linea con la previsione fatta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui nel 2050 la metà della popolazione mondiale sarà miope. È vero che per la miopia esiste una componente genetica, e al momento contro questo aspetto non si è in grado di agire, ma non dobbiamo trascurare la componente ambientale. I bambini trascorrono troppo tempo in ambienti chiusi, e l’eccessivo sforzo nella visione da vicino, che peggiora per l’uso sempre più precoce e prolungato dei digital device, mette ancora più a rischio la salute visiva dei nostri figli. Come ricorda sempre anche il professor Paolo Nucci, presidente della Società italiana di oftalmologia pediatrica e strabismo che collabora con il nostro progetto divulgativo @occhideibimbi, stando all’aria aperta, gli occhi si sforzano meno perché devono guardare lontano; non sono costretti all’iperaccomodazione continua come accade davanti a un display. Ma c’è di più: sembra anche che i raggi del sole stimolino la produzione di dopamina, una sostanza in grado di inibire le metalloproteasi, un enzima che rendendo la sclera più elastica favorisce l’allungamento del bulbo oculare e quindi la miopia. Non pensiamo che sia solo una problematica risolvibile con occhiali e lenti a contatto, oppure ricorrendo a un intervento con il laser quando il bambino sarà cresciuto: una miopia elevata - oltre le cinque diottrie - si associa a conseguenze patologiche sulla retina, una maggiore incidenza di glaucoma e cataratta. Se vogliamo aiutare i nostri bambini, regaliamo loro una bicicletta per favorire l’outdoor activity, non un tablet o un cellulare.

Il primo controllo agli occhi andrebbe effettuato alla nascita; il secondo attorno a un anno e il terzo attorno ai tre anni, a meno che non ci sia familiarità per problematiche visive. Queste indicazioni rispecchiano la realtà?

Purtroppo no. Diciamo brevemente che la situazione impatta contro una certa carenza di oculisti dediti all’oftalmologia pediatrica, e in alcuni casi anche contro un’erronea convinzione, non solo di genitori, ma talvolta anche dei pediatri: quella che non si possa visitare un bambino che non sappia leggere. Tutto questo si traduce spesso in un ritardo diagnostico, che porta a effettuare la prima visita oculistica solo a ridosso dell’ingresso nella scuola primaria. Prevenzione deve essere sempre la parola d’ordine. La storia di Elisa lo insegna.

Come si può aiutare un bambino che deve portare la bendina per molto tempo ad accettare questa nuova abitudine?

Posso dire con orgoglio che da quando con Elisa abbiamo aperto il profilo Instagram @ibendagnez questi bambini, e le loro famiglie, hanno molti strumenti in più. Innanzitutto una serie di pubblicazioni che supportano i genitori in questo percorso non sempre facile, anche con semplici, ma utili, consigli su come gestire l’occlusione e stimolare la compliance del bambino. Poi dei quaderni di attività che attraverso personaggi beniamini dei bambini, quali principesse, pirati e piratesse, sirenette, dinosauri e simpatici animali riescono a coinvolgere il bambino in maniera divertente, così che anche lui impari a prendere nota dei propri successi. A queste famiglie offriamo anche un servizio gratuito molto importante: una chat dove si possono confrontare con altri genitori che hanno vissuto o stanno affrontando questo percorso, e dove sono supportati non solo da professionisti della visione - oculisti, ortottisti, optometristi, ottici e contattologi - ma anche da altre figure professionali, come per esempio psicologo, psicoterapeuta e pediatra. L’ultima novità in ordine temporale, la Canzone dei Bendagnez, disponibile su tutte le piattaforme, che grazie a Coccole Sonore è diventata anche un cartone animato su YouTube. Tutto nel segno di un’ottica inclusiva che sposiamo da sempre. In attesa, nel 2025, del nuovo cartone animato Pixar in cui sarà proprio un bambino con la benda, Elio, a rappresentare la Terra in una riunione interplanetaria.

Come si può combattere il bullismo agito contro i bambini che portano la bendina? Attraverso la conoscenza. Conoscere aiuta a capire. Ecco perché pensiamo che anche una canzone o un albo illustrato possono diventare gli agenti per un cambiamento quanto mai necessario.

Com'è nato l'inno dei bambini con gli occhi colorati?

Per una serie di fortunate coincidenze. Lo scorso anno, parlando con Emanuele Mapelli, papà di una piccola dolcissima Bendagnez, che fa il musicista, abbiamo iniziato a pensare che una canzone potesse essere utile per far sentire questi bambini “importanti”. Volevamo un testo semplice, ma significativo: “Siamo i Bendagnez, colora, colora, colora, così l’occhietto lavora, lavora, lavora e con il tempo migliora, migliora, migliora”, recita il ritornello. Una musica orecchiabile per accompagnare poche parole che, però racchiudono l’essenza del bendaggio: tenere i bambini impegnati in attività, come il colorare, durante l’occlusione così da fare lavorare l’occhio pigro favorendo il miglioramento delle funzioni visive. Le nostre più rosee aspettative sono state di gran lunga superate grazie all’offerta di collaborazione venuta da Greta Mancini e Carlo Rossetti, rispettivamente voce e patron di Coccole Sonore, canale web con oltre 2 milioni di iscritti dedicato ai bambini e alle loro famiglie. Grazie a loro, la canzone dei Bendagnez è diventata anche un bellissimo cartone animato, da oggi online per la gioia di tanti bambini con gli occhi colorati.

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